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Invasori: Revival #7

 

 

We are the roots of your country… V

 

Di Yuri N. A. Lucia.

 

 

 

 

Rise. Leonard Klencher, Gremlin, rise. Rise divertito, di gusto mentre il sangue colava lungo il viso annerito dal fumo, segnato dal dolore.

Rise mentre la morte, con le sembianze di Martin Guile, Bucky, lo guardava interdetto.

“Perché ridi?” Chiese stupito, indignato, perché da lui si sarebbe atteso una reazione dignitosa o almeno un po’ di sana paura.

Gremlin socchiuse per un po’ gli occhi, godendosi il contatto con il tronco contro il quale si era adagiato.

Nel mondo non c’era più nessuno. Non c’era Ridd che, a poca distanza, riverso in terra perdeva sangue. Non c’erano i Vietmihn che li stavano cercando per ucciderli. Non c’era nessuno degli abitanti di quella lontana e sperduta nazione che gli uomini chiamavano Vietnam.

“Non è rimasto nessuno.” Rispose alla fine con il sorriso sulle labbra.

“Tu sei pazzo.” Bucky puntava alla sua testa e gli sarebbe bastato tirare il grilletto un attimo per chiudere quella storia ma c’era qualcosa che glielo impediva.

“No, dico sul serio. Guardati bene intorno. Non c’è davvero più nessuno. Siamo venuti qui per fare che cosa? È un deserto questo posto. Non c’è nessuno, nessuno c’è mai stato e mai ci sarà.”

“Siamo venuti qui per fare il nostro dovere di patrioti!” Lo rimproverò aspramente Bucky.

“Siamo venuti qui per ammazzarci tra noi.” Osservò tranquillo Gremlin.

“Solo perché voi avete tradito!”

“No. Era destino che accadesse. Sin da prima che ci mandassero qui. Sin da prima che ci conoscessimo. Non è la missione. Non sono gli ordini. È questo assurdo tentativo di costruire a tavolino una leggenda.

Il non sapere se esistiate veramente oppure no, sarà la vostra arma più forte. Te lo ricordi? Che stupidaggine. Avrebbero dovuto scegliere un altro nome e tu lo sai. Invece no. Per loro Invasori è un marchio, come un televisore, un’auto, un barattolo di fagioli in scatola. Invece c’era una storia, una tradizione dietro e noi l’abbiamo rotta, ci siamo prestati ad essere chi non avevamo il diritto di essere. E per chi lo abbiamo fatto? Per persone che nemmeno esistono veramente.” Sospirò Gremlin.

“Che vai dicendo?! Sporco mutante! È chiaro che ti è partito definitivamente il cervello! Non so nemmeno io perché non ti sto sparando.”

“Perché sai che ho ragione. Hai visto quello che io ho visto. Hai fatto quello che io ho fatto. Non esistono. I nostri padroni non esistono. Lavorano in fantomatici uffici alla Casa Bianca, di cui nessuno ha mai sentito parlare. Vivono vite anonime e grigie nelle periferie, in belle ed ordinate villette, di quelle con il prato all’inglese, lo steccato bianco ed i fiore sui davanzali delle finestre. Non esistono. Non hanno una qualifica professionale. Non hanno neppure un grado. Ordinano e noi eseguiamo. La cosa buffa è che ora nemmeno noi esistiamo più. Se ci catturassero, chi credi ammetterebbe la nostra esistenza? Non siamo diversi da questi disgraziati intorno a noi: non esistono, persi nella logica della contrapposizione tra super potenze, sia i nostri che i loro; abbiamo iniziato una guerra qui per parare il culo ai francesi ed ora ci ritroviamo noi in questo luogo di morte, dove non c’è una vera vita perché nessuno esiste veramente. LO VEDI!!! Gli urlò carico di risentimento con tale ira che Bucky indietreggiò, la pistola abbassata, gli occhi sbarrati. Facciamo il nostro dovere! Allora perché non hanno scelto per noi un altro nome, qualcosa che avrebbe avuto un senso e non uno che non ha più significato! Capitan America e Bucky, quelli veri, ovunque siano, riderebbero di noi!!! Non hanno avuto il coraggio di darci un vero nome e sai perché?! Perché se non fossimo stati che la pallida ombra di qualcosa, saremmo esistiti veramente e allora?! Allora come avrebbero potuto dirci di fare il lavoro sporco? Come ci avrebbero potuto ordinare di venire qui per uccidere a sangue freddo dei civili? COME?! Tu sei un assassino nato! Complimenti! Sei tu l’uomo perfetto per questo secolo martoriato. Ed io?! Io sono solo un perdente che nemmeno esiste, CAZZO! Almeno se fossi stato vero, se non fossi stato uno dei loro numeri di merda da muovere attraverso carte bollate, allora avrei potuto dire la mia! Perciò smettila di guardarmi con quella faccia di merda e sparami!!!!”

Bucky non disse nulla, non emise un fiato.

“AVANTI MERDA!!! SPARAMI E CHIUDIAMO QUESTA CAZZO DI RECITA MALRIUSCITA!!!!”

“Non così.” Gli sussurrò Bucky.

“E come? Maledizione! Mi hanno trascinato qui per fare qualcosa che non volevo. Mi hanno fatto diventare tutto ciò che mai avrei voluto essere ed ora? Nemmeno mi vuoi ammazzare decentemente. Che altro vuoi che faccia? Mi devo mettere un vestito da ballerina e danzare per te.”

“Sai perché lo faccio?” Chiese Bucky, quasi volesse giustificarsi.

“NO! E sai una cosa? Non interessa a nessuno! Ti ricordi cosa ho ripetuto fino alla nausea?! Lo hai sentito?! Tu non esisti e a nessuno importa di te.”

“A QUALCUNO DEVE IMPORTARE!” Gridò frustrato Bucky.

Gremlin lo guardò con compassione. Non c’era più la morte davanti a lui. Era solo un uomo troppo piccolo e fragile per esserlo. L’avrebbe ucciso, si, perché questo solo poteva fare a quel punto ma non era la sinistra mietitrice. Non aveva mai avuto il sangue freddo per farlo. Solo un certo talento per le cose della guerra ma nulla di più. Con le dita scavò un po’ nella fanghiglia e la sentì piacevolmente umida e viscida contro il palmo delle sue mani. Non era un posto così brutto dove morire e non sentiva di provare odio nei confronti di chi l’avrebbe fatto diventare cibo per i vermi di lì a poco e perciò, pacatamente ed educatamente, chiese: “Mi vorresti raccontare perché?”

Bucky cadde a pezzi. Rimase solo Martin che sorrideva. Il ragazzino texano che ne aveva passate tante. Gli raccontò in modo breve e conciso tutto. Gli raccontò ogni cosa, la sua storia, i suoi segreti, in modo breve, conciso ma appassionato. L’altro seguiva serio, con grande rispetto e ogni tanto assentiva con la testa.

 

 

 

 

 

 

A poca distanza – Durante il confronto tra Gremlin e Bucky.

 

 

Tom Raymond era scivolato via, silenzioso, mentre i due ex compagni stavano scontrandosi all’ultimo sangue. Si erano fatti entrambi dimentichi di lui ma sapeva bene che quando lo scontro sarebbe finito, lo avrebbero cercato. Chiunque fosse sopravvissuto. Se fosse stato Cap il vincitore, lui sarebbe morto.

“No. Non Cap.” Si rimproverò improvvisamente con durezza. Quello vero, il Capitan America della Seconda Guerra Mondiale, non gli avrebbe mai fatto del male. Era un uomo forte e gentile allo stesso tempo. Ricordò con grande affetto il giorno in cui insegnò a lui e Bucky un gioco di carte che aveva appreso da uno zio del Montana. Raccontò loro tutto di quell’uomo, con tale dovizia di particolari che a Thomas sembrava di conoscere da sempre lo zio Burt. Sorrise, un sorriso demente e sbiadito mentre tornava a barcollare in mezzo al fango, cadendo ogni tanto e rialzandosi puntualmente. Non sentiva più dolore e questa era l’unica cosa positiva di quell’inferno. Forse essendo già morto il dolore non poteva più lambirlo come aveva fatto crudelmente fino a poco prima. Si, doveva essere così, doveva essere già morto e quello che si svolgeva intorno a lui era il giudizio dell’oltretomba in alcune leggende degli antichi popoli europei di cui aveva sentito parlare.

Non era stato mai interessato ai miti, non era uno studioso ma quel racconto l’aveva affascinato perché parlava di un regno dei morti senza paradiso, senza speranza di pace per i suoi occupanti, pieno solo di sofferenze ed indicibili patimenti. Lo aveva affascinato perché ne era assolutamente spaventato e l’uomo, delle volte, era sedotto proprio da ciò che maggiormente lo atterriva.

Si era pentito di non averne letto di più, di non averlo capito più a fondo visto che ora era divenuto uno dei suoi abitanti. Vomitò. Un misto di bava, succhi gastrici e sangue. Un brutto segnò, pensò divertito e se fosse stato ancora vivo se ne sarebbe senza dubbio preoccupato, pensò soddisfatto tra sé e sé.

Avanzò incerto sul dove dovesse dirigersi, preda della confusione più completa.

Sentiva dei rumori davanti a sé, gli inconfondibili echi dei proiettili che volavano e delle urla dei soldati che venivano massacrati.

“Oh, andiamo! Non ditemi che anche qui vi ammazzate in modo così incivile! Non ne avete avuto abbastanza quando eravate vivi? Meno male che non potete veramente morire! Se no sai che fregatura questo aldilà?” Biascicò quelle parole, divertito dal loro stesso suono, incapace di distinguere ciò che era reale da ciò che ormai avveniva solo dentro la sua mente.

Non c’era più la Torcia. Non c’era più Toro. Non c’era più nemmeno Thomas Raymond. Era rimasto solo un uomo reso folle da una malattia che lo aveva divorato dall’interno da mesi, senza che lui potesse far niente se non sopportare in silenzio.

In un angolo del suo cuore ancora si preoccupava per Leonard ma non ricordava veramente chi fosse. Non ricordava più nessuno. Nei suoi occhi annebbiati c’erano solo i campi di battaglia in Europa, i piccoli borghi francesi, le foreste tedesche, le Alpi italo-austriache.

Cercava disperatamente i suoi compagni, gli amici che erano stati una famiglia.

Dove era il coraggioso e nobile Cap? Dove era l’indomita e generosa Torcia umana? Dove l’altezzoso ma leale Namor? Dove era il suo amico Bucky? Erano stati i suoi fratelli, tutti quanti e cominciò a piangere disperatamente al pensiero che non li avrebbe trovati lì.

“Nemmeno nella morte posso essere esaudito? Non merito di ricongiungermi alle persone che ho amato?” Rimproverò risentito un invisibile ente che reputava responsabile delle sue disgrazie.

Agitò il pugno nell’aria prima di cadere nuovamente.

Respirava pesantemente la Torcia. Si accorse che il regno dei morti era freddo, così freddo da avergli tolto ogni sensibilità.

“Non merito, dopo tutto questo, almeno un po’ di pace? O è davvero un luogo così crudele questo?” Mormorò incomprensibile per chiunque avesse potuto sentire.

 

Chi è?” Chiese spaventato il ragazzo che reggeva tra le braccia un fucile troppo grande per qualcuno della sua età.

Non ne ho idea ma sembra uno dei bianchi provenienti dall’America, uno dei nemici della rivoluzione.” Gli rispose l’altro, non molto più grande e altrettanto spaventato.

Avrebbero dovuto sparargli un colpo e fuggire via, forse quella era la cosa migliore da fare ma sembrava così inerme che sparargli sarebbe stato un atto di codardia.

Che facciamo allora?” Incalzò nuovamente il primo, sempre più spaventato.

L’altro rimase in silenzio. Doveva riflettere bene sulla decisione da prendere.

 

 

Ivanhoe scartò di lato, evitando un calcio di Cap. Era stata una mossa avventata, quella che lui aspettava perché ricambiò colpendogli violentemente una coscia con un pugno. Le nocche premettero con violenza la carne e l’impatto fece cadere l’americano a terra. Il terreno era morbido, altrimenti avrebbe rischiato di rompersi la schiena. Cap eseguì una capriola all’indietro per portarsi lontano dall’avversario e non dargli la possibilità di colpirlo nuovamente.

“Sei dannatamente bravo!” Ringhiò mentre escludeva dalla mente il dolore che si spandeva lungo la gamba. Era semi-paralizzata, lo sapeva. Questo era un problema perché la mobilità compromessa con uno come Ivanhoe poteva significare una morte certa.

Ivanhoe era stanco, molto più di quanto non avesse dato a vedere e non sarebbe riuscito a generare altra bio-energia necessaria ad un colpo letale se non avesse avuto modo di riposarsi un po’.

Capitan America questo non lo aveva capito e per lui era un vantaggio. Tra pochi istanti si sarebbe cominciato a chiedere perché prendeva tempo invece di finirlo e allora il vantaggio sarebbe finito.

Quell’uomo era un pazzo non uno stupido.

Lo aveva sempre disgustato, sin da quando gli avevano detto chi fosse e cosa avesse fatto in Corea per sopravvivere.

“Un animale del genere non dovrebbe nemmeno pronunciarlo il nome di Capitan America!” Si era lasciato scappare davanti ai suoi superiori quando gli dissero della sua esistenza.

Si scusò immediatamente per quello scatto e loro passarono sopra la cosa, comprendendo perfettamente il suo disappunto.

Era ancora un ragazzo quando lo incontrò per la prima volta. Si trattava di un uomo di quelli che non si possono dimenticare. Aveva salvato suo padre, che al tempo lavorava nei servizi segreti e lo aveva riportato a casa.

“È qui per compiere una missione importante.” Gli aveva detto suo padre, il volto segnato dalle torture dei nazisti che lo avevano interrogato. Non sapeva di quale missione si trattasse, non poteva: era un’informazione riservata e lui sapeva cosa volesse dire questo; lo avrebbe dovuto aiutare, mettendogli a disposizione tutte le sue conoscenze. Ebbe l’onore di lavorare con Capitan America, lui, solo un ragazzo che gli doveva la vita dell’amato padre.

Accettò subito di infiltrarsi nel P.H.A.D.E. per osservare da vicino la sua distorta parodia degli Invasori, una grottesca creazione a cui capo era stato messo un maniaco omicida.

Doveva ucciderlo, non c’era altra possibilità. Doveva farlo subito ed essere rapido e spietato altrimenti sarebbe stato lui ed essere morto.

Capitan America scattò in avanti, proiettandosi con l’aiuto di una sola gamba.

In un istante fu sulla sua preda ed iniziò a bersagliarlo con una veloce sequenza di colpi.

Tanto l’uno che l’altro erano stati preparati al corpo a corpo. Entrambi conoscevano il defendu e ne erano maestri. Tuttavia Cap aveva qualcosa che mancava ad Ivanhoe: era fisicamente più forte; questa superiorità diveniva drammaticamente più evidente un istante dopo l’altro e per poco Cap non aprì le difese del britannico.

Ivanhoe si piegò e sferrò un pugno al plesso solare togliendo il fiato allo scudiero e poi, rapido, gli assestò un calcio mirato all’inguine che però non raggiunse il suo bersaglio ma terminò sull’addome di Cap, deviato da una ginocchiata. Gli addominali d’acciaio si tesero, premendo contro la suola rinforzata dello scarpone.

“Maledizione!” Sibilò Ivanhoe che aveva però guadagnato il tempo di tirare il fiato.

Cap per la terza volta dall’inizio del duello si portò fuori portata dell’altro.

Sorrise maligno. Ivanhoe non poteva utilizzare i suoi poteri. Per quanto addestrato e abile fosse, era stato solo per il timore di un’improvvisa scarica che Cap era stato tenuto sotto scacco.

Ivanhoe capì subito che qualcosa era cambiato. Lo sguardo dell’uomo che aveva di fronte era quello di un predatore che stava per sbranare un animale più debole.

Era riuscito a bloccargli una gamba, in questo modo non solo poteva muoversi solo con grande difficoltà ma anche i suoi colpi avevano perso di vigore e precisione.

Non era molto, tenendo conto di cosa poteva comunque fare ma era tutto quello che aveva.

“Non devi arrenderti mai. Non fino a che non è finita e nemmeno dopo. Non lasciarti dominare dalla paura, usa le tue debolezze come se fossero la tua forza e trasforma la forza dell’avversario nella sua debolezza.” Le parole del vero Capitan America gli tornarono alla mente. Sorrise dietro la sua maschera e a quel punto fece qualcosa che spiazzò il Capitan America che gli stava di fronte. Se la tolse.

 

Ora lo guardava a viso scoperto, fronteggiando quell’incarnazione vivente dell’umana follia.

“Perché?”

“Non capita tutti i giorni di poter massacrare di botte Capitan America, anche se solo un falso. Volevo togliermi lo sfizio di farti vedere la mia bella faccia così saprai chi è che ti sta per mandare al creatore gonfio di botte, sempre che il creatore ti voglia vedere.”

Queste erano le parole cariche di sprezzante odio che gli rivolse Ivanhoe.

Non dissero altro e lo scontro riprese.

L’uomo che si faceva chiamare Capitan America mirò alla gola, un colpo a mano aperta per sfondargli la trachea, il ginocchio già proteso per colpire l’inguine o per permettergli un contatto fisico.

Per quanto ben addestrato dai servizi segreti britannici, Ivanhoe gli era inferiore dal punto di vista fisico e in un corpo a corpo prolungato, senza spazio di manovra sarebbe morto.

Cap rise soddisfatto.

 

Ci fu un lampo. Un’improvvisa  esplosione di luce e quel duello finì nel giro di pochi istanti.

Ivanhoe era a terra, dolorante per lo scontro. Cap era riverso nel fango, orribilmente ustionato e fumante.

L’odore di carne bruciata riempiva la fredda aria notturna e Ivanhoe trattenne a stento un conato causato da una zaffata improvvisa.

“Se non lo avessi distratto… non mi sarebbe mai riuscito di beccare quel figlio di puttana così.”

Tom gli sorrideva, biascicando le parole mentre due ragazzini indocinesi lo sostenevano.

“Il mio piano era leggermente diverso.” Ammise il soldato britannico.

“Il tuo piano era farlo avvicinare tanto da colpirlo con una delle tue bio-scariche. Anche se indebolito, a quella distanza sarebbe stata abbastanza forte per ucciderlo ma tu avresti fatto la stessa fine.”

“Per toglierlo dal mondo, questo ed altro.” Commentò secco.

“Non lo seppelliamo?” Un violento colpo di tosse lo fece tremare e i due ragazzi, spaventati, si preoccuparono che potesse accasciarsi a terra da un momento all’altro.

“No. Un uomo del genere non merita nulla.”

“Che farai ora?”

“A proposito di che?”

“Mi arresterai?”

“Stai morendo. Probabilmente. Sarebbe farti un grave torto privarti degli ultimi giorni di libertà dopo che mi hai salvato. E poi da questo momento non lavoro più per il tuo paese. Se vogliono sbatterti in prigione, che vengano loro a prenderti qui.”

“Come ti chiami?”

“Perché lo vuoi sapere?”

“Conosco la tua faccia. La faccia dell’uomo che si è levato contro quel bastardo per aiutarmi. Voglio sapere il tuo nome.”

L’altro sorrise e rispose: “Bruce Thomas McCullogh, figlio di Scozia e suddito di sua Maestà Britannica. Al tuo servizio.”

Bruce gli si fece incontro, rassicurando in vietnamita i due ragazzini che lo stavano sostenendo.

Questi aiutarono Tom a sedersi in terra e poi si allontanarono leggermente.

“È finita.” Gli occhi di Tom erano vitrei, la sua voce tremante, il sangue usciva dalla sua bocca e colava misto a bava lungo il mento.

“Non ti mentirò: hai ragione; ma hai finito alla grande, come direste voi yankees. Hai mandato all’inferno quel bastardo, una volta per tutte.”

“Non era un bastardo.”

Bruce lo guardò per qualche istante, sorpreso per quell’affermazione.

“Pensavo che lo odiassi. Sai che cosa ha fatto prima di divenire Capitan America?”

“No ma non era molto diverso da me alla fine.”

“Tu non sei mai stato così.”

“Non ero felice di quello che facevo, a differenza di lui. Però l’ho fatto: tutta quella gente che è morta, l’ho ammazzata anche io; che non ne abbia provato gioia, o che non lo abbia fatto direttamente, non cambia nulla. Era una squadra di assassini ed io vi ho preso parte nonostante tutto.”

“Il tuo governo non ti ha lasciato scelta.”

“Avevo la possibilità di scegliere, invece. Potevo rifiutarmi.”

“Hanno usato droghe ed ipnosi per anni, al fine di controllarti meglio.”

“Le droghe e l’ipnosi hanno smesso di fare il loro effetto da tanto tempo. Troppo per essere giustificato.”

Bruce gli sorrise. Un sorriso amaro ma carico di comprensione. Tom, stanco, gli appoggiò la testa sulla spalla dopo che questi gli si era seduto vicino. Sprofondavano leggermente nella fanghiglia ma non ci facevano caso, così come non facevano caso alle zanzare che nella notte tentavano di rubargli un po’ di sangue.

Era una notte stranamente bella, nonostante tutta la morte e nonostante il lezzo che impestava l’aria.

“Sei troppo duro con te stesso.”

“Grazie, amico mio.”

Tom non disse altro. Bruce alzò lo sguardo al cielo e pianse.

 

 

Nei pressi di Duang – Contemporaneamente a quanto accade.

 

“Scegli: rimani qui a morire lentamente, oppure seguici. Il maggiore sorrise sardonico, gli occhi che brillavano crudeli alla luce delle torce che ardevano. Gli uomini che le portavano e gli altri soldati ai suoi ordini sembravano condividere la sua sadica allegria. Vedi? Non è vero che noi sovietici odiamo la libertà: ti sto dando la libertà di decidere.”

“Mi stai solo dando la libertà di morire tra atroci sofferenze o al termine di una vita al guinzaglio di voi porci rossi.” Il commento sprezzante ed il sorriso di sfida del Camaleonte strapparono una sonora risata all’ufficiale alla quale, in breve, si unirono tutti gli altri.

“Ascolta, piccolo americano in difficoltà: il K.G.B. è molto interessato a te, ai tuoi talenti, alla tua esperienza; in fatto di travestimento ed omicidio sei un vero maestro. Avere degli agenti segreti bravi solo la metà di quanto lo sei tu, lo trasformerebbe in una formidabile arma per il nostro paese, più di quanto non lo sia già ora.

C’è un ragazzo, molto giovane, anche lui come te con un passato di sangue alle spalle e proprio come te dotato di una naturale propensione a questo tipo di cose.

Quello che vogliono i miei capi, è che tu lo prenda sotto la tua ala protettrice e ne faccia il più grande esperto di travestimenti e spionaggio di tutto il mondo.

Che ne dici? Tutto sommato sono stato onesto e per quanto riguarda il discorso che hai fatto su ipotetici guinzagli, certamente ti terremmo d’occhio ventiquattro ore su ventiquattro, visto che non siamo certo così scemi da fidarci di te ma almeno saresti vivo e potresti condurre una vita relativamente agiata. Allora, che ne dici?”

Camaleonte rifletté qualche istante. Le schegge di bambù nel suo corpo lo torturavano ad ogni respiro. Sarebbe morte dopo diverse ore, forse sarebbe durato persino un paio di giorni. L’idea lo fece rabbrividire.

“Sembra proprio che dovrò affrontare la sua offerta, Maggiore.”

“Che uomo intelligente! Coraggio uomini, liberatelo.”

Pronunciò quelle ultime parole con grande disprezzo. Il Camaleonte attese pazientemente di essere liberato, consapevole di essersi appena venduto quel po’ di libertà che aveva conservato dentro di sé.

 

 

Oltre il confine Cambogiano, nel luogo dello scontro – Contemporanemente a quanto accade.

 

 

“Beh, direi che ora puoi ammazzarmi.” Martin rimase sconvolto da quella dichiarazione.

“Non sei tu che dovresti deciderlo. Non sono io che dovrei deciderlo?”

Gremlin per tutta risposta sorrise teneramente. “Dopo quanto mi hai confidato non credi siamo abbastanza intimi da potermi permettere di farti questa richiesta?” La febbre lo stava bruciando violentemente. I suoi pensieri si scioglievano all’orizzonte degli eventi, mentre la sua anima ormai affondava senza rimedio apparente nel torpore che aveva seguito la follia di quella lunga, sconnessa giornata che ora appariva un ricordo sbiadito, distante nel tempo.

“Forse hai ragione.” Martin era confuso. Quel mutante, quel ragazzo lo aveva fatto aprire come non gli succedeva tempo, come non gli era mai successo. Se avesse potuto scegliere lo avrebbe graziato, salvandogli la vita ma non poteva perché sarebbe stato come barare con la propria madrepatria e lui questo non lo avrebbe mai fatto. Del resto anche Gremlin sembrava aver capito la giustezza della necessità di dispensare una giusta punizione e questo gli faceva onore. Aveva superato il limite dal quale si poteva tornare e si era macchiato di alto tradimento ma la sua anima poteva essere salvata e avrebbe potuto riportare il suo corpo a casa, negli U.S.A. e avrebbe detto ai suoi superiori “è morto da vero uomo, con onore”; assentì con il capo a quel suo pensiero. Avrebbe salvato capra e cavoli, sarebbe stato giustiziere e redentore, boia e assolutore.

Ridd aveva sentito tutto. L’emorragia sembrava essersi arrestata. Il freddo, il fango, la contrazione dei vasi. Non sapeva esattamente dire che cosa fosse stato ma non stava perdendo più sangue ma il problema era il sangue già perso. La vista era annebbiata e tentare di sparare in quelle condizioni avrebbe significato suicidarsi. Se quel bastardo fosse stato più vicino avrebbe rischiato ma così non avrebbe comunque salvato il ragazzo che si faceva chiamare Gremlin e che di lì a poco sarebbe morto.

A quel punto poteva solo attendere ma appena il bastardo si fosse mosso, se gli fosse passato vicino, gli avrebbe sparato. Forse sarebbe morto comunque ma almeno avrebbe avuto una speranza in più di ammazzarlo.

Guardò Bucky prendere la mira, pronto a forargli il cranio con un colpo di pistola.

 

Il proiettile esploso dalla pistola passò dalla schiena, attraversando il polmone, uscendo dalla parte opposta. Il secondo si fece largo attraverso le carni, ledendo l’arco aortico. Il terzo proiettile fu spietato quanto i suoi metallici fratelli, portandogli via l’orecchio destro.

Gremlin fece in tempo solo a muovere la bocca in una smorfia incomprensibile e Martin cadde in ginocchio, il sangue che colava copioso in terra.

Ridd guardò il giovane soldato che era riuscito a portarsi dietro Bucky senza essere scoperto. Probabilmente se Bucky fosse stato più lucido lo avrebbe sentito, si sarebbe voltato e lo avrebbe fulminato. Forse. Forse quello era semplicemente il suo momento di morire e quel giovane tremante con la pistola in mano era stato solo lo strumento del Fato.

“Vieni qui, ragazzo…” Ridd si era tirato a sedere a forza.

“Signore, sono venuto in avanscoperta dagli elicotteri. Siamo riusciti a ripiegare ed uno di loro mi ha dato qualche minuto per venire a vedere se c’erano sopravvissuti.”

“È stata tua l’idea?”

“Si ma gli elicotterieri sono stati d’accordo.”

“Tu e loro siete matti ma vi devo la vita.” Ridd sorrise flebilmente.

“Dobbiamo andare signore, altrimenti il carburante non basterà per il ritorno.” Il giovane soldato aveva ritrovato il coraggio e la fermezza, spinto dalla necessità di uscire da quella situazione.

“Il ragazzo… il ragazzo con la pelle gialla. Quello lì…”

“Signore, a me sembra andato. Posso portare solo uno dei due. Non tutti e due, non ce la farei mai.”

“Porta lui.” Ridd era stato risoluto e il suo tono non ammetteva repliche.

Il giovane soldato ignorò quanto detto e costrinse il superiore ad alzarsi, mettendosi il suo braccio intorno al collo.

“Che stai facendo?...” Ridd non riuscì a finire la frase.

“Mi dispiace signore, davvero. Quando saremo fuori da questo inferno potrà denunciarmi alle autorità militari per aver ignorato il suo ordine. Per ora facciamo come dico io.” Sapeva che quella decisione gli sarebbe pesata per sempre. Aveva scelto, chi doveva vivere e morire. Aveva ucciso uno sconosciuto. Aveva agito. Si disse questo. Aveva visto il tenente a terra, sanguinante e aveva visto il tenente che stringeva la pistola in pugno e guardava quell’uomo.

“Come ti chiami, figliolo?” Chiese Ridd che avanzava a forza.

“Rucker, signore. Oliver Terenzio Rucker.”

 

Due ore dopo quanto accaduto.

 

 

Il corpo di Martin Guile era già divenuto il succulento pasto per topi ed insetti.

Bruce osservò il punto in cui si trovava e si chiese se quella fosse stata l’unica soluzione possibile.

“Mi occuperò io di lui.” Disse Tom strappandolo dai suoi pensieri.

“E chi si occuperà di te?” Chiese preoccupato lo scozzese.

“La fortuna. Spero. Forse ho ancora un po’ di tempo da vivere e se è così, lo voglio usare per aiutare Leonard. Lui è quello che ha pagato lo scotto maggiore. Non è giusto e tu lo sai. Ha diritto ad avere un nuova possibilità.”

“Qui?”

“Non in America. Non dopo quanto è accaduto. Non puoi nascondere quello che è successo, non completamente. Già coprire quello che hai fatto sarà difficile e non credo che i Servizi Segreti di Sua Maestà siano disposti a spendere tempo e risorse per noi.”

“Allora, immagino che sia tutto.” Bruce estrasse la sua pistola e la girò dalla parte del calcio, offrendola a Tom che rifiutò gentilmente.

“Non farebbe grande differenza e poi ne ho abbastanza.”

“Come vuoi. Sei una brava persona, davvero. Non credo che la tua sia la decisione migliore ma la rispetto. Addio Tom e, per quello che può valere, è stato un onore conoscerti.”

“Vorrei dire lo stesso. Quello che posso dirti è che mi sarebbe piaciuto averti negli Invasori. Quelli veri.” I due si sorrisero e si strinsero con calore la mano.

Bruce non disse altro e si diresse verso il luogo dove avrebbero dovuto essere recuperati.

Tom guardò Gremlin che dormiva. I bendaggi di fortuna non avrebbero retto a lungo. Forse Bruce aveva ragione e quella non era la soluzione migliore. Il problema era che non aveva potuto fare diversamente.

Oggi iniziava la loro nuova vita. Forse breve, forse priva di speranza ma almeno, libera.

 

 

 

Dal diario di R.

 

 

Quanto accaduto in questi giorni, ha segnato definitivamente la fine della mia carriera. La mia, non quella del P.H.A.D.E.

Sono giunte delle persone nuove, faccie che non avevo mai visto, gente che sembra sapere il fatto suo e pronta a tutto.

A cosa? Non saprei dirlo ma c’è qualcosa in loro che non mi ispira per niente fiducia.

Mi ha colpito particolarmente un uomo, di cui non conosci il nome, accompagnato da un giovane ufficiale dal curioso nome, Velasquez Collman.

Sembra deciso a rimettere in piedi quesa agenzia e a farne qualcosa di veramente grande.

Non lo ha detto ma so riconoscere certe espressioni facciali, io.

Cosa ne sarà di me?

Dopo tanto tempo nell’esercito, non so se riuscirò a vivere veramente. Il mio terapista dice che devo vedere la vita in una nuova prospettiva ma ho sempre pensato che fosse un tipo un po’ stronzo e che non capisse niente.

Cosa è successo laggiù? Chi può dirlo.

Stiamo ancora cercando di capirci qualcosa e forse rimarrà per sempre un mistero.

So solo che tirare fuori dalla tomba gli Invasori, non ha portato fortuna a nessuno. Per niente.

 

 

 

 

 

 

Fine.